REGGIO EMILIA - SI E' ARRESO IL SEQUESTRATORE

Inizia con la luce e finisce con il buio la giornata di assedio sulla via Emilia. Otto ore di terrore per 5 persone tenute ostaggio. Alle 16.43 Francesco Amato, condannato nel processo Aemilia, latitante, si arrende ed esce dall’ufficio postale di via Fratelli Cervi a Pieve Modolena. La pazienza, dice il colonello dei carabinieri Desideri. La pazienza – unita alla competenza, aggiungiamo noi – delle forze dell’ordine la ragione di questo risultato. Amato è circondato da diverse ore quando si consegna.Auto, camionette, ambulanze, barelle. Rumori di sirene, silenzi lunghissimi. Tutti lontani perché non si può passare. Già dalla tarda mattinata i carabinieri del Gruppo di intervento speciale di Livorno, le teste di cuoio, si appostano sul retro dell’edificio, pronti a fare irruzione. Ma poi l’attività di negoziazione e di dialogo privilegiata dai militari reggiani sortisce il suo effetto. Quando esce dall’ufficio – lo conosce bene, lo frequenta spesso, ci dicono -, quando viene caricato in auto dai carabinieri, il 55enne pare inerme, senza forze. Eppure, dalle 8.30, brandendo un coltello da cucina, terrorizzava un gruppo di persone riuscite, con una solidità di nervi ammirabile, a rimanere calme. Stanno tutti bene, escono scortati, e in un flash, mentre li portano via, ci fanno capire che l’incubo è finito.Il lavoro, notevole, delle forze dell’ordine. E l’attesa: dei giornalisti assiepati, arrivati via via anche dalle testate nazionali. Dei residenti e degli esercenti della zona. Dei curiosi, tanti. Le istituzioni sono rimaste anche loro dietro al nastro bianco e rosso, per ore: il vicesindaco Matteo Sassi, il sindaco Luca Vecchi, il presidente della Provincia Giorgio Zanni. Si tenta di riflettere su cosa possa essere accaduto nella mente di quest’uomo latitante da giorni, si prova a capire che cosa stia capitando nel nostro territorio.Prima dell’epilogo, solo uno spiraglio in tarda mattinata. C’è il presidio del 118 e viene fatta entrare una barella, che esce con coricata una delle dipendenti, vittima di malore. Ma Amato non molla; vuole attenzione, chiede di parlare col ministro della Giustizia e degli Interni, dice di avere delle informazioni utili. Fuori i suoi parenti, in parte coinvolti dagli inquirenti nella negoziazione, si lanciano addirittura in una difesa: “Ha fatto questo gesto perché 19 anni di carcere sono troppi, perché nessuno lo ascolta”, dicono.Molto più silenziosi sono altri parenti, i famigliari degli ostaggi: mariti e figli che riescono a mantenere la calma, comunicando con i famigliari sotto sequestro attraverso messaggi. Veronica ad esempio, che ha 22 anni e che come la mamma, la direttrice dell’ufficio postale, si mostra molto coraggiosa. Lei ha visto l’inizio dell’incubo, era entrata per salutare la madre quando Amato ha fatto irruzione, ha chiamato i carabinieri. Trema mentre attende in silenzio di avere notizie. Aspetta, aspetta e aspetta ancora. E adesso è solo il tempo degli abbracci.

 

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